Maggese

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C’è una vecchia aula di scuola che ho lasciato più di 30 anni fa tra sedie scalcinate e banchi pieni di scarabocchi. Se chiudo gli occhi posso ancora vedere le scritte e i disegni osceni e le cancellature, respirare ancora l’odore acre del bianchetto sui fogli a quadretto. Dietro la finestra di fronte ci sono ancora i campi lasciati a maggese, gli stessi che avrei visto rigogliosi di grano o verdure gli anni successivi. Posso intuire il freddo e la solitudine degli inverni dalla fanghiglia umida del campetto di calcio fronte, l’estate dal canto assordante dei grilli tra le sterpaglie. Scorgere il volto di un mio compagno di classe e le carte stagnole delle merende accartocciate e usate come palloni improvvisati nei corridoi. E quel sentiero che porta verso un casolare e le campagne, gli ultimi echi di un’Italia contadina e provinciale che stava cambiando volto dopo secoli, quella che Pasolini chiamò (in una bellissima antologia) “Un Paese di temporali e primule”.

E nelle notti  di dormiveglia e sonni agitati di questo interminabile lockdown in quella classe ci sono tornato veramente. La stessa in cui sognavo il mondo sfogliando gli atlanti. E ho ricordato che la mia compagna di banco era una ragazzina. Non solo la mia. Tutta la nostra classe aveva come compagno di banco qualcuno del sesso opposto. E non era certo una nostra scelta.

Fu una professoressa di italiano a imporci di di condividere i banchi con le nostre compagne, nonostante le nostre proteste. La motivazione fu secca: “dovete imparare a parlarvi, siete fortunati a essere insieme”. L’incastro durò un anno, anno in cui feci in tempo naturalmente a innamorarmi della ragazza che mi era a fianco e parlare  per la prima volta con le mie compagne di classe. Un gesto rivoluzionario in una piccola scuola di provincia dei primi anni ’90, di quelli che possono, se non cambiare una vita, spingerti a guardare il mondo da una prospettiva diversa.

E non so perché l’ho sognata professoressa Forti, in quei giorni di angoscia e difficoltà. Mi sono accorto, in realtà, di ricordare ormai solo vagamente i suoi lineamenti. Ricordo solo che ci lasciò troppo presto e in modo beffardo e inaspettato per i nostri 12 anni. Che ci insegnò tanto in modo silenzioso. E che arrivato alla mia veneranda età, dopo anni di urla e impotenza, quasi tutti i cambiamenti reali che ho avuto la fortuna di osservare, siano frutto del lavoro quotidiano di persone come lei.  Di chi ci spinge ad aprire sempre la nostra finestra “anche se noi diciamo che è una finestra sbagliata”.  Di quel maggese silenzioso che attraversa e migliora le nostre vite impercettibilmente.

 

 

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